L'Ottocento

Il Palio è la visione di un poema ariostesco fatto realtà! Oh, Marchesa, pare di svegliarsi da un sogno e di aver vissuto un giorno in un'altra era.

Margherita di Savoia, Regina d'Italia alla sua Dama d'onore Marchesa di Villamarina, 1887 

 

 

 

 

Subito all'inizio del secolo, la Civica Comunità adottò due storici provvedimenti, che furono emanati entrambi nel 1802 dal Gonfaloniere Forteguerri. Con una notificazione apposita si ordinò "che non sia permesso ai fantini di ritenersi o battersi, finchè dopo date le mosse e calato il canape, non abbiano intieramente oltrepassato tutto il Palco dei Signori Giudici, alla pena, mancando, del carcere...". In questo modo si ridusse lo spettacolo indecoroso dei fantini che prima della mossa si nerbavano e si azzuffavano.

Con altro provvedimento la Magistratura Civica suddivise in due parti il premio che da sempre si dava al vincitore del Palio alla lunga del 15 agosto, un drappo di velluto cremisi del valore di 110 talleri. Da allora si dettero 70 talleri in contanti al vincitore del palio alla lunga, e 40 alla Contrada vincitrice del Palio alla tonda. Si concludeva così un lungo e costante processo di pubblicizzazione del Palio che ne rinnovò il carattere di festa di tutti, celebrazione ufficiale della città. Un drastico cambiamento si notò nella pittura dei drappelloni, a causa del dominio francese sulla Toscana. Come riflesso del nuovo egalitarismo transalpino, tra il 1808 e il 1813 l'araldica del drappellone fu ridotta alle semplici iniziali intrecciate dei Deputati della Festa; e presto i disadorni monogrammi furono sovrastati dal nuovo enorme stemma di Napoleone Imperatore Ma il massimo dell'ingerenza della politica sul Palio si ebbe nell'agosto 1808, quando si volle tramutare la celebrazione secolare dell'Assunta in quella di San Napoleone.
L'innovazione per fortuna non durò. Il fondo delle peregrine invenzioni si toccò invece nell'aprile del 1810 quando si decise di offrire in Piazza del Campo un gran banchetto ai poveri delle Contrade, ognuna delle quali dové individuarne e inviarne sei. I poveri malcapitati furono sistemati in tende sulle quali stavano le insegne delle Contrade di appartenenza mentre una folla di farisaici curiosi li guardava mangiare. Al centro un padiglione più grande riuniva i poveri di Aquila, Pantera e Tartuca. Questa unione tradiva la greve motivazione del grottesco evento mascherato da filantropia. Con i colori delle tre bandiere si voleva alludere a Francia, Austria e Impero, e al recente matrimonio politico-dinastico di Napoleone con Maria Luisa d'Austria. I continui omaggi ai sovrani del momento erano elargiti volentieri sia dal popolo (perchè erano il pedaggio da pagare per avere un Palio in più) che dai nobili (perchè erano occasioni di far pompa e di incontrare sovrani e notabili altrimenti irraggiungibili). In pochi anni si festeggiarono la rivoluzione francese, il regno d'Etruria, Napoleone, Elisa Baciocchi, poi nel 1818 Ferdinando III di Lorena e nel 1819 si dette il benvenuto a Metternich. Questa che ad alcuni appare piaggeria e ad altri indifferenza deriva forse ai senesi dal loro prima forzato e poi endemico distacco dalla storia, dal loro sempre più marcato "sogno del medioevo": nonostante l'ondata di carri con figurazioni allegoriche neoclassiche, nel 1813 nella sfilata riapparve il Carroccio, che avrebbe proseguito fino ai nostri giorni ad evocare il grande effimero trionfo di Montaperti.

La passione civica di Siena per la sua storia e la cultura della Contrada come piccola patria non impedì ai Senesi di essere partecipi in prima fila della grande storia. A porsi come esempio di ciò, che nella riflessione antropologica recente si è detta "identità multipla", i Senesi dell'Ottocento si mostrarono allo stesso tempo consapevoli della loro identità contradaiola e patrioti convinti per tutto il Risorgimento. Virgilio Grassi, uno storico del Palio scrupoloso e puntuale, mise in risalto il contributo delle Contrade senesi al Risorgimento; a ricordarlo su Palazzo Spannocchi fu posta una lapide a commemorare le "cospiranti Contrade Drago, Oca e Selva". Le Contrade raccolsero in prima persona fondi per sostenere i volontari alle guerre di Indipendenza, come pure "oblazioni da ripartirsi tra quei volontari che reduci delle patrie battaglie si trovassero nelle condizioni più bisognose". Nel luglio del 1848 il Palio non ebbe luogo, e la somma destinata alla corsa fu erogata in sussidio dei volontari che combattevano in Lombardia. Nel 1839, ricorda un manifesto, non fu necessaria una leva militare, tale fu l'afflusso dei volontari senesi sotto le bandiere tricolori. In quelle delle Contrade si sarebbe specchiato il Risorgimento. Nonostante il Comune nel 1845 avesse emanato un'ordinanza che ne codificava immutabilmente i colori, il loro assetto definitivo avrebbe dovuto attendere l'Unità d'Italia. L'Aquila non smise mai di spiegare la sua insegna gialla con l'Aquila bicipite, che la tradizione voleva concessa da Carlo V in persona durante una delle sue visite a Siena. Per tutto il Risorgimento l'Aquila fu accolta alla sua entrata in Piazza da salve di fischi, rivolti in realtà all'impero austro-ungarico. Lo stesso accadde alla Tartuca, che allora spiegava un'insegna gialla e nera che ricordava quella degli austriaci. Sull'onda degli entusiasmi per Pio IX, nel 1847 la Tartuca sostituì il nero con il bianco, spiegando così i colori papalini. I fischi si trasformarono in applausi. Ma due anni dopo svaniti gli entusiasmi liberali per il Papa, l'insegna tornò gialla e nera e i fischi ricominciarono per cessare solo nel 1859, quando finalmente la Tartuca assunse i colori attuali. Sorte opposta toccò alla bandiera dell'Oca, che dal 1791 era verde con arabeschi bianchi e rossi. I patrioti che ci vedevano il tricolore d'Italia l'applaudivano ovunque con calore, tanto che dal 1849 al 1859 le autorità cambiarono i colori in bianco, rosa e verde. Giuseppe Garibaldi, che assistè al Palio del 1867 con le sue camicie rosse, fu particolarmente festeggiato dalle insegne rosse della Torre, che insieme ai suoi applausi ricevé quelli caldissimi del "partito spinto", come annotò sospettosamente il rapporto dei Regi carabinieri. Neanche a Siena mancavano gli Austriacanti, i quali avversarono fieramente l'adozione dei costumi "alla piemontese" visti per la prima volta in Piazza nel 1836, e usati successivamente in diverse altre occasioni.

Il Risorgimento liquidò anche definitivamente la pretesa di accostare i fantini agli eroi di Olimpia. Ai Senesi i fantini erano ben altrimenti conosciuti. Se il Settecento fu il secolo dei feroci combattimenti tra i fantini, l'Ottocento fu quello dei loro più efferati e clamorosi tradimenti. Campione ne fu Francesco Santini, il Gobbo Saragiolo, che cambiò bandiera per trent'anni. Corse per 15 Contrade. Tutte le blandì, tutte le disprezzò, tutte le tradì. Vinse ben quindici volte per sette Contrade diverse. Quando nel 1855 con uno dei cavalli favoriti andò dritto a S. Martino con dolo, a chi gliene chiese ragione sbottò "ma che dovevo vincere per voialtri miserioni che mi davi 140 monete, quando ne ho guadagnate 170?". Come Giuda, notò qualcuno, aveva tradito per 30 denari.Talvolta, mancando allora le chiusure di S. Martino e del Casato, i fantini fedigrafi uscirono di Piazza di gran carriera e galopparono fin fuori le mura. Lo fece Baicche nel 1877 e ancora nel 1885. Così Ansanello che nel 1896 a notte fonda andò a suonare la campanella dei frati dell'Osservanza ancora vestito del giubbetto della Torre. "C'è un omo che vuol dormire qua. Pare un cannello di ceralacca" riferì stupito il padre guardiano al superiore.

I cavalli di questo secolo erano ancora gli anonimi barberi dei tempi precedenti, ma con una novità: nella tratta dell'agosto 1837 furono ammesse le cavalle e scartati i maschi interi a scanso di "antiestetici inconvenienti". Si instaurava un costume che sarebbe durato fino ad oggi.

Nel regolamento del 1852, a firma del Gonfaloniere Angelo Piccolomini, si proibisce di somministrare ai cavalli sostanze spiritose, sotto responsabilità dei Capitani. La leggenda del beverone, metà pozione magica e metà ricostituente cerusico, pietra filosofale delle stalle di contrada, sarebbe durata a lungo, con la sua promessa di istantanee metamorfosi di un brocco in un Pegaso. Appare dopo la metà del secolo il primo eroe tra i cavalli. E' lo Stornino di Belforte, che si segnalò per intelligenza e attaccamento al Palio. Infatti si narrava che sentisse l'avvicinarsi della festa e cambiasse personalità divenendo anche lui, da tranquillo cavallo di un curato di campagna, un barbero degno dei focosi corsieri che giostravano nelle antiche Carriere. Vinse 18 Palii, l'ultimo dei quali nel 1877, a ventuno anni suonati. Alla sua morte l'Accademia dei Fisiocritici lo acquistò per imbalsamarlo.

Concluso il Risorgimento a Siena le Contrade mostrarono tutta la loro vitalità. Ancora una volta, di fronte ai rivolgimenti della grande storia, agli enigmi e alle incertezze dei tempi nuovi, i contradaioli si associarono e riassociarono stringendosi intorno alle loro tradizioni. Fu all'interno delle Contrade che a Siena si sviluppò l'associazionismo di fine secolo, che produsse una miriade di società i cui membri raramente superarono il numero di cinquanta. Alcune di esse furono diretta filiazione delle Contrade, altre ebbero base rionale o occupazionale. Nei primi anni la finalità precipua di tali società fu il mutuo soccorso: si forniva assistenza per infortuni, vedovanze, invalidità e vecchiaia. Tali gli scopi del Ventaglio della Torre, o della Romolo e Remo fondata nella Lupa attorno al 1870, della quale Garibaldi fu presidente onorario. Altre inclusero l'istruzione popolare el l'alfabetizzazione tra i loro scopi. Tra di esse fu la Società di Mutuo Soccorso istruzione ed educazione della Stella dell'Onda. Altre società promossero conferenze e dibattiti: nel 1893 al Giardino, società sorta nel rione del Bruco, si tenne una serie di dibattiti sull'emancipazione femminile.

Il rinnovato ruolo delle Contrade nella vita della città si mostrò in occasione di un progetto di legge che voleva sopprimere l'Università di Siena, uno degli Atenei più antichi d'Europa, nel quadro di un generale riordino delle Università del Regno. Nel gennaio 1893 i rappresentanti delle Contrade indissero un comizio e una manifestazione, affissero manifesti. Protestarono anche individualmente con la consueta vivacità: la Torre telegrafò a Giolitti, L'oca a Crispi, il Nicchio al Re d'Italia. Il progetto "indegno di un governo cui è commessa la tutela delle liberali franchigie" fu alla fine accantonato per sempre.

L'anno seguente i diciassette Priori delle Contrade fondarono il Magistrato delle Contrade, un organismo di direzione, discussione e coordinamento di tutte le questioni di comune interesse per le Contrade. Nel 1895 il Magistrato iniziava la sua attività, regolata da uno statuto che prevede attualmente l'elezione annuale di un Rettore e di una Deputazione di quattro membri che lo coadiuva. Nel 1878, dopo un secolo di cambiamenti e esperimenti sulla coreografia del corteo storico, che aveva portato in Piazza costumi di varie fogge e diverse epoche, furono rinnovate le monture di Piazza, prendendo a modello di riferimento e ispirazione i costumi del Trecento senese. I bozzetti che furono presentati dalle Contrade e approvati dal Comune, vennero realizzati dalle Contrade stesse. In questi anni, concluso il processo del Risorgimento, Casa Savoia aveva iniziato una cosciente politica verso le feste e le tradizioni d'Italia. I reali compirono il Gran Tour del loro nuovo regno, incoraggiarono più di un revival di antiche feste dimenticate. Anche in Italia come in Europa ci fu la reinvenzione della tradizione. Legnano, Pontida, Barletta e "del comun la rustica virtù" furono trattate come antecedenti del nuovo stato e della sua auspicata nuova coscienza monarchica e nazional-popolare. Lo stesso, come mostrano gli studi di George Mosse o di E.J. Hobsbawm, sarebbe accaduto in tutta Europa tra il 1870 e la prima guerra mondiale. Umberto I e Margherita di Savoia vennero e tornarono a Siena, e dopo la visita del 1887 sparsero nell'araldica contradaiola quelle trouvailles sabaude che vi si vedono ancora: rose di cipro, nodi e margherite, iniziali e collari dell'Annunziata. La città più che al re si affezionò a Margherita, che ne divenne l'ennesima protettrice; le dedicò una variante del medievale panpepato, il panforte margherita, la invocò in sguaiati ma in fondo affettuosi stornelli popolari, inviò i suoi bimbi più belli a offrirle mazzi di margherite e impasticcate poesiole; le fiere popolane di Fontebranda le offrirono di darle del tu; le vennero offerte le chiavi della casa di Santa Caterina. Siena celebrò a suo modo l'unità d'Italia e rispose alla politica festiva dei Savoia: nell'ultimo decennio del secolo si corsero 28 Palii.