Dopo la pausa per Palio e Contrade imposta dalla guerra, la vita comunitaria delle Società riprese vigore, ma con l'avvento del Fascismo passò sotto l'egidia dell'Opera Nazionale Dopolavoro. Fermi e intoccabili restarono le Sedi Storiche e gli Orator. Il cambiamento non fu sempre pacifico; le nuove autorità sciolsero d'imperio alcune società di Contrada particolarmente riottose, come l'Alba nel Bruco e il Rinoceronte nella Selva. Per non seguire la stessa sorte, il Castelmontorio del Valdimontone si sciolse da sé. Ma subito nacquero nuove Società che di fatto negoziarono col nuovo regime un loro spazio di autonomia, secondo l'adagio sempre e mai vero che "in Contrada non si fa politica".
Durante il fascismo le Contrade fecero qualche rara sortita dal loro contesto naturale della città: una a Roma nel 1930 per le "nozze principesche" di Umberto di Savoia e Maria José del Belgio, un'altra al giardino dei Boboli di Firenze nel 1936. Là, confuse loro malgrado ad altre rappresentazioni di quei "giochi virili" che il regime aveva resuscitati ritenendoli utili a forgiare una gioventù "agile, veloce e scattante", le comparse del Palio salutarono Hitler e Mussolini. Vittorio Emanuele III venne spesso al Palio, quasi sempre in forma privata. La visita a Siena divenne un frequente side trip delle sue vacanze a San Rossore. Il Re guardava il Palio dal Palazzo comunale apparendo alla trifora alla quale si era affacciato Carlo V. Al Re i fantini alzarono tutti insieme il nerbo nel luglio 1937, prima di andare alla mossa, introducendo un'innovazione che è rimasta nel rituale paliesco. Il Palio del luglio 1936 fu detto "dell'impero" perchè celebrava l'impresa africana del Fascismo. Il drappellone, vinto dalla Giraffa, fu in seguito autografato del "Re Imperatore". La Giraffa per quella fausta vittoria e con l'avallo della real casa cominciò a chiamarsi "imperiale". Con la disinvoltura e il distacco che il Palio in fondo ha sempre mostrato per i regimi, nel suo inno si sarebbe poi presentata come "reale, imperiale, repubblicana ancor!".
Il Palio tratta i regimi come entità rispetto a esso effimere, perchè appartengono alla storia di corta durata e alla struttura superficiale, mentre il Palio si sente parte della struttura profonda e della storia di lunga durata: "Lui ha da andare e io ho da restare" diceva, nello stesso senso, il Savonarola di Lorenzo de' Medici. Mussolini si mostrò sensibile alle richieste del Comune di Siena, che già allora cercò di tutelare il Palio distinguendolo dai revivals che pullularono in tutta la penisola. In risposta a una richiesta inoltrata dal podestà Bargagli Petrucci, nel 1935 giunse al Prefetto di Siena una lettera nella quale si comunicava "avere il Duce con apposita ordinanza disposto che l'appellativo di Palio fosse riservato esclusivamente al Palio senese". Mussolini però non venne mai al Palio. Circolò la boutade che il Duce, sentendosi unico, mal sopportasse l'idea di venire in una città che di Duci ne aveva già 17.
Tra le due guerre il corteo storico si rinnovò e divenne ancor più splendido e solenne del precedente. Il rinnovo dei costumi e del Carroccio avvenne nel 1928, con la supervisione di una commissione comunale di "artisti e competenti in materia" presieduta dal Podestà. Il costo sostenuto da Comune, Monte dei Paschi, Contrade e sottoscrizioni tra i privati cittadini, superò il milione di lire. Lo stile prescelto per le monture fu quello di fine '400, perchè in quel tempo le Contrade cominciarono ad apparire in Piazza. Il corteo cioè cominciò a citare esplicitamente se stesso e il proprio passato, chiudendosi simbolicamente in un circolo chiuso come era accaduto nel passaggio dal Palio alla lunga al Palio alla tonda.
Il nuovo Carroccio, adorno di allegorie delle Contrade dipinte da Federigo Joni, non fu più tirato da cavalli ma da sei grandi buoi di razza chianina, condotti da bovari, quasi a rappresentare un omaggio delle campagne senesi alla città. Nel 1936, per dare ancora maggior pompa al corteo furono introdotti i figuranti delle corporazioni e delle arti e del tribunale della mercanzia. Gli armigeri di Palazzo furono aumentati di numero e posti di scorta al Carroccio, i loro due tamburini dettero al corteo una chiusura sonora. Le attività teatrali nelle quali si segnalò il prolifico impegno di Silvio Gigli, riscossero grande popolarità nelle Contrade. L'operetta di ambiente paliesco di Luigi Bonelli, "Rompicollo", fu rappresentata in Italia e all'estero. Nel 1932 Alessandro Blasetti girò a Siena "Palio", un film di intrigo, (la cui sceneggiatura riprendeva alcune novelle del Bonelli), che fu proiettato con buon successo nelle sale italiane. Molte furono anche le gite sociali e di istruzione organizzate per i contradaioli verso mete in tutta Italia. Ma il fenomeno nuovo fu la costituzione nell'ambito delle Contrade di gruppi sportivi, e soprattutto di squadre di calcio: nel 1928 ne erano attive undici.
Per l'ultima volta nei colori delle Contrade alcuni lessero allusioni politiche: il rosso della Torre contro il tricolore dell'Oca. Ma per i senesi la Torre rimase Salicotto e l'Oca Fontebranda. In Piazza Oca e Torre si affrontarono come sempre senza esclusione di colpi. L'Oca fu nel TONO (Tartuca, Onda Nicchio, Oca), l'unica precaria coalizione di Contrade della storia del Palio che vinse alcuni palii ma si sciolse con astio quando nel 1934 l'Oca andò a vincere contro gli accordi ("Quella del 34/ ci s'è legata al dito / Papero sciabordito" cantò con astio il Nicchio). La Torre invece si legò a Ganascia, il vero successore del Meloni che liquidò il suo maestro proprio con la sua arma preferita, a nerbate, nel 1933 ("il nerbo di Ganascia/è fatto alla rotonda/ per nerbà l'Oca e l'Onda" cantò uno stornello della Torre di quegli anni). Ganascia piacque per quella che appariva generosa combattività. In realtà fu un calcolatore meticoloso che cercava di non lasciar niente al caso. Le sue strategie erano elaborate in sedute interminabili nei lunghi inverni di Monticello Amiata dove era nato da Domenico Leoni detto il Moro, fantino vittorioso due volte. Anche Ganascia vestì quasi tutti i giubbetti, quindici in venti anni, e riuscì a vincere otto palii. Tra di essi rimase memorabile il "cappotto" del 1933 nella Tartuca, per di più sullo stesso barbero, il leggendario Folco.
Folco era un sauro di carattere mite e docile alla guida, uno di quei maremmani che per decenni sarebbero stati la stragrande maggioranza dei barberi di Piazza. A portarli a Siena erano i butteri, sorta di cow boys nostrani, o i "bestiai", i commercianti di cavalli che animavano le fiere senesi del bestiame di Piazza d'Armi. A tenerli erano i "cavallai" proprietari o tenutari di cavalli da Palio, persone che in quei decenni svolgevano in genere attività legate all'agricoltura. Il più famoso "cavallaio" fu il Sor Ettore Fontani, laureato in legge, agricoltore nell'azienda familiare, commerciante di bestiame e poi di carni, ispettore del Ministero dell'Agricoltura nella zona di Pisa, tornato a Siena per conciliare le necessità quotidiane con le passioni della sua vita: la Contrada e il Palio. Dalle sue stalle passarono molti dei cavalli protagonisti della Piazza e altrettanti fantini famosi, dal Meloni fino ad Aceto. Dietro al Sor Ettore vennero altri nomi famosi a Siena, come il Margiacchi, il Papi e Dedo Pianigiani, il più fortunato di tutti, perchè avrebbe avuto la buona sorte di essere eletto Capitano del Montone, vedersi assegnare il suo cavallo, Belfiore, e con lui vincere il Palio. Ma nessuno dei migliori cavalli di quegli anni, la Giacca, Lina, Lola, Margiacchina, Ruello e Wally (così chiamata in dubbio omaggio alla Simpson) seppe conquistare il cuore dei senesi come Folco che aveva trovato un amico in Pappio, il barbaresco del Drago. Molte storie ancor vive nella tradizione riguardano la loro amicizia. Folco seguiva Pappio senza bisogno di briglie, lo aspettava davanti alle bettole dove lui si fermava per un bicchiere e due chiacchere, e c'è chi giura che a chi lo salutava alla voce rispondeva con un nitrito amichevole. Venne la guerra e Folco fu nascosto nel bosco della tenuta di Cambriano dai proprietari, la famiglia di quel Dario Neri che come manager avrebbero retto le sorti della Sclavo e fondato la casa editrice Electa e come artista avrebbe realizzato le monture dell'Onda, il manifesto del Palio ancora in uso, un drappellone e soprattutto ritratto in maniera insuperata le crete senesi, ricevendo le lodi di amici come Bernard Berenson e Carlo Emilio Gadda. Le attività paliesche e contradaiole furono interrotte dalla seconda guerra mondiale, ma anche in quel grave momento il Palio restò sempre nel cuore dei senesi. Su una Piazza del Campo tracciata sulla sabbia, in un campo prigionieri della Tunisia, dieci senesi corsero nell'agosto del 1943 il loro Palio, indossando spennacchiere di cartone. Il mortaretto era una latta di benzina. Vinse il Bruco, si celebrò con del vinello e molti canti.